“All’insegna delle nuove conquiste in tema di crescita cranio-facciale, di fisiologia neuro-muscolare, di cibernetica e di chinesiologia applicata, l’elemento dentario oggigiorno acquista significato solo se considerato nel contesto dell’apparato stomatognatico e in stretta dipendenza con l’organismo intero.” E. Giannì, da “Crescita cranio-facciale e ortodonzia” M.J.Deshayes (1987)
Quale migliore introduzione se non le parole di questo autorevole autore, pioniere dell’ortognatodonzia italiana, ricercatore, grande oratore e comunicatore, del quale ricordo in particolare una frase che soleva spesso ripetere alle sue lezioni: “in bocca funziona tutto, anche la mia scarpa, l’importante è la diagnosi”.
Egli stigmatizzava così l’importanza dello studio dell’accrescimento cranio-facciale dalla filogenesi all’ontogenesi, dell’embriogenesi, dell’anatomia e della fisiologia, della valutazione del substrato biotipologico, dell’approccio funzionale e della prevenzione.
Ma davvero servivano tutte quelle nozioni per imparare a raddrizzare i denti?
Questo fu il primo quesito che mi posi quando, agli albori della mia attività professionale (correva l’anno 1980), inizia ad addentrarmi nel dedalo dei corsi di specializzazione ortodontica. Mi venne da chiedermi come fosse possibile che scuole ortodontiche che utilizzano da oltre un secolo metodiche diagnostiche sostanzialmente uguali giungano a conclusioni così discordanti, spesso in totale contrapposizione e che, di conseguenza, applichino procedure terapeutiche così diverse ottenendo tutte, sempre e comunque, risultati fantastici?
Personalmente la risposta e la scelta che ne seguì mi venne offerta dall’incontro con la kinesiologia applicata, con l’osteopatia e dalla scoperta delle correlazioni occluso-posturali.
In particolare, lo studio approfondito dell’osteopatia mi prospettò una nuova visione dello sviluppo e della biomeccanica cranio-facciale che non conoscevo.
L’apparato stomatognatico non è un sistema isolato!
L’approccio ortodontico si è progressivamente isolato dai fondamenti della medicina dentale, si è racchiuso in un compartimento ultra-specializzato, sembra aver dimenticato che le basi dell’occlusione non si limitano alla semplice intercuspidazione di denti perfettamente allineati nelle due arcate e non pone sufficiente attenzione alle cause delle malocclusioni ed al meccanismo del loro sviluppo.
È indubbio che la tendenza attuale sia quella di abbandonare la terapia eziologica e funzionalista, ritenuta più complessa, indaginosa, dispendiosa in termini di tempo e apparecchiature e per i più scarsamente prevedibile, a favore di un trattamento sintomatico che cura gli effetti della patologia attraverso un tecno-meccanicismo esasperato, possibilmente standardizzato e rigorosamente ripetibile.
Del resto, perché impegnare il nostro patrimonio neuronale nello studio della crescita dinamica cranio-facciale o della neurofisiologia dei sistemi corporei quando possiamo imparare a posizionare correttamente brackets pre-torchiati, pre-inclinati (a volte pre-messi dal laboratorio), quindi applicare una bella sequenza di archi memoria rigorosamente dritti e ottenere in poco tempo un sorriso smagliante e perfettamente allineato?
Pare evidente che oggi si sia purtroppo arrivati ad attribuire alla diagnosi e agli obbiettivi di un trattamento ortodontico delle finalità quasi esclusivamente estetiche.
Il compito dell’ortognatodonzista
Per chi se ne fosse dimenticato, ortognatodonzista è colui il quale si preoccupa di porre in rapporto equilibrato le basi scheletriche e la dentatura, senza ovviamente prescindere dai tessuti molli periorali, di cui nessuno ignora l’importanza, ma che non possono e non devono essere presi a riferimento per stabilire gli obiettivi del trattamento.
Perché ortognatodonzia “sistemica”?
Secondo la visione sistemica le proprietà essenziali di un sistema vivente sono proprietà del tutto, che nessuna delle parti possiede. Esse nascono dalle interazioni e dalle relazioni fra le parti.
In altre parole, anche se possiamo distinguere parti singole in ogni sistema, queste non sono isolate e la natura del tutto è sempre differente dalla mera somma delle sue parti.
Per un ortodonzista, come per qualunque medico, pensare in maniera “sistemica” implica la necessità di uscire dal proprio orticello, rispolverare concetti dimenticati e scoprirne di nuovi attraverso un’espansione di conoscenza.
Tutto ciò richiede impegno e mente aperta soprattutto nel confronto culturale con filosofie apparentemente diverse ma che in realtà spesso lo sono solo in funzione delle diverse modalità attraverso cui si esprimono.
Potete leggere tutto l’approfondimento del Dott. Stefanelli qui.
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